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COMUNICATO DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE E APPELLO DEI TEOLOGI E PASTORI
- manco.giovanni
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1 Anno 3 Mesi fa #287
da manco.giovanni
COMUNICATO DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA E PACE E APPELLO DEI TEOLOGI E PASTORI è stato creato da manco.giovanni
Carissimi confratelli, dopo essermi consultato con il superiore generale e il superiore della regione meditarranea, vi condivido due comunicati, uno della Commissione giustizia e Pace del CIMI/Suam della quale sono referente per il Pime, e l'altra del gruppo di ricerca ATI e quindici vescovi del sud Italia, su una Teologia dal Mediterraneo, che giungono come un kairos di annuncio e denuncia profetica di fronte alle situazioni mancanza di giustizia e Pace nel nostro Mar mediterraneo, Mare nostrum. Noi come missionari del Pime, insieme a tutti gli altri istituti missionari e centri di ricecerca teologico/ missionaria ci sentiamo interpellati a contribuire per una " civilizzazione dell'amore" che non produca " stragi nel Mediterraneo( parole dell'arcivescovo Lorefice di Palermo), ma costruisca ponti di fraternita', di solidarieta' e giustizia.
Comunicato stampa della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia – CIMI - 18 giugno 2023
“STRAGE ANNUNCIATA”
Con il passare delle ore diventa sempre più drammatico il bilancio delle vittime dell’ennesimo naufragio di una imbarcazione carica di migranti che è avvenuto tra il 13 ed il 14 giugno a Pylos, nel mar Jonio nelle acque
territoriali greche.
Il timore è quello di arrivare a dover contare più di 600 morti tra uomini, donne e soprattutto bambini lasciati annegare e soccorsi in estremo ritardo. L’allarme lanciato da Alarm Phone alle autorità competenti (guardia
costiera della Grecia UHNCR Grecia e Frontex) è partito alle 16.53 del 13 Giugno e alle 2.47 del 14 giugno si registra l’ora del naufragio dell’imbarcazione. La domanda è quella di sapere che cosa è veramente successo in quelle quasi 10 ore.
Stiamo assistendo come sempre all’inguardabile e stomachevole scaricabarile. I superstiti abbandonati su brandine in una struttura del porto di Kalamata, lontano dai giornalisti. I corpi rinvenuti (sino ad ora sono 78) trasportati di notte al buio da una motovedetta della guardia costiera
greca e trasferiti al nord di Atene in camion frigoriferi per la identificazione.
I parenti delle persone che avrebbero dovuto essere sull’imbarcazione che intasano il centralino dell’ospedale di Kalamata per avere notizie dei propri cari.
È il “rituale” che si ripete ad ogni naufragio, ad ogni “strage annunciata”
Si, si tratta di vere “stragi annunciate” perché ogni “imbarcazione” che parte può essere una “strage annunciata” e non serve poi proclamare lutto nazionale per “lavarsi la coscienza”. Le domande che ci poniamo e che poniamo a che è chiamato a governare sono sempre le stesse:
le persone che erano su quell’imbarcazione o sulle altre imbarcazioni naufragate avevano altre alternative per scappare dalla violenza? Rischiare la vita oppure continuare a subire violenze nei lager libici? Voi, noi cosa
avremmo fatto se fossimo stati al loro posto?
La risposta non sta l’ultimo “patto europeo”, la risposta non si trova nelle coscienze “sporche” dei politici che lo hanno votato
Forse la risposta sta “semplicemente” nel rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali. Leggi e convenzioni che tutti i paesi hanno votato ma che vengono dimenticate quando si pensa solo alla difesa del
proprio paese o della “fortezza Europa” e quando si fa politica per difendere interessi di corporazione o personali.
Leggi e convenzioni internazionali scritte nel corso di decenni per impedire che la violenza e la cultura della morte tornassero a prevalere.
Rispettare le leggi e le convenzioni internazionali per evitare altre “stragi annunciate”.
Missionari della Consolata; Missionari Comboniani; Missionari Saveriani; Missionari della Società delle
Missioni Africane; Missionari del PIME; Missionari Verbiti; Missionari d’Africa (Padri Bianchi); Comunità
Missionaria di Villaregia; Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli; Missionarie dell'Immacolata;
Francescane Missionarie di Maria; Missionarie di Maria – Saveriane; Missionarie Comboniane; Missionarie
della Consolata
Per informazioni: segreteriacimi@gmail.com (Segreteria) antoniopiquicombo@gmail.com (GPIC)
APPELLO DEI VESCOVI E DEI TEOLOGI DEL MEDITERRANEO
«Non dimenticate l’ospitalità;
alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,1).
Il Mediterraneo grembo e promessa di una fraternità possibile
Avete inteso che fu detto che questo mare è un mare infido, ma non è così.
Avete inteso che fu detto che questo mare è un mare di morte, ma non deve essere così. Avete inteso che fu detto che questo mare è un mare di pochi, ma non può essere così. Dinanzi all’ennesima strage che si è consumata nelle acque del Mediterraneo, come teologi e teologhe provenienti da diverse sponde del Mediterraneo, non possiamo tacere. Ci sentiamo provocati a prendere posizione rispetto a questo racconto di morti, di respingimenti, di tragiche disuguaglianze. Siamo convinti che una narrazione diversa del Mediterraneo debba essere cercata.
Questo Mediterraneo, i suoi volti, le sue storie, le grida che salgono da questo mare, ci interpellano. La teologia si pone con uno sguardo di speranza, che non si allontana dalla tomba, dalle tombe che questo mare rappresenta, ma prova a interpretarle: tra memoria e profezia.
Questo significa, per noi, metterci in ascolto. In ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido di questi popoli; in ascolto del grido di questi popoli fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama, come credenti e come esseri umani. Come ci ha indicato il Concilio Vaticano II, il genere umano vive oggi un periodo nuovo della sua storia: una vera trasformazione socioculturale, profonde mutazioni, interrogativi che toccano il senso dell’umano accanto ad aspirazioni sempre più universali e che chiedono al pensiero credente di scrutare in tali vicende i segni dei tempi interpretandoli alla luce del Vangelo (cf GS).
Sentiamo l’urgenza di una teologia capace di accogliere l’istanza profetica racchiusa nel grido di dolore e nelle richieste di giustizia che giungono dai tanti naufraghi della storia: da coloro che lasciano i loro paesi impoveriti e devastati dai conflitti alimentati dagli interessi dei potenti del mondo; da quanti sono sfruttati e umiliati nella loro dignità; da quelli che fuggono dalla fame prodotta anche dai cambiamenti climatici; ma anche l’istanza racchiusa nel grido della terra e di un mare sempre più stravolti da una economia predatoria.
Sappiamo di dover partire da questo ascolto: dal pianto e dal silenzio delle storie dei sommersi e non salvati, dalle voci di chi accoglie o rifiuta in questo perdersi delle frontiere anch’esse in camino.
Vogliamo porci dinanzi a tutto questo con lo stile di una teologia umile che non dà risposte preconfezionate, ma si lascia abitare dalle provocazioni di questo mare
Ed è proprio la categoria del naufragio che può aiutarci a reinterpretare il Mediterraneo a dare vita a nuove narrazioni.
Con i tanti che vedono naufragare la loro speranza di una vita migliore, il loro diritto alla libertà, naufraghiamo anche noi e la nostra umanità. Siamo dentro un naufragio di civiltà. Tutti noi siamo i naufraghi (tutti e non solo alcuni) e questo già spezza le frontiere che vorremmo irrigidire.
Il Mediterraneo è luogo di naufragi. Ma nella speranza scampata alla disperazione dei migranti che atterrano sulle nostre coste, nei loro occhi che cercano e chiedono salvezza e futuro, proprio lì e già li possiamo scorgere i segni del Regno che anche noi cerchiamo. La speranza arriva dall'altro, quell'altro che crediamo di dover essere noi ad accogliere, e che invece forse ci sta salvando.
La profezia che sale dai tanti drammi del Mediterraneo, chiede che si ritrovi l’identità più profonda di questo mare dai confini mobili, impossibile da racchiudere in una definizione, in una prospettiva culturale, che non può essere di pochi ma è dei tanti che su di esso si affacciano, mare “nostro” in tutte le lingue dei popoli del Mediterraneo.
Spazio di interconnessioni, incrocio di rotte, il Mediterraneo testimonia la fecondità della contaminazione che è generativa delle specificità culturali. Non esiste una identità culturale pura: è questo che il Mediterraneo racconta.
L’accoglienza dell’altro è allora un atto di giustizia e di riconoscimento di ciò che siamo in questo mare nostro, mare del meticciato. L’istanza profetica è nell’ospitalità che si fa paradigma culturale e di pensiero, criterio di vita e di azione sociale. Riconoscere l’altro, le nostre differenze, le nostre contaminazioni non può essere considerata una scelta opzionale. In questo riconoscimento c’è la nostra umanità, ma anche la stessa dinamica della Rivelazione: Dio è dialogo e il dialogo è luogo di Dio.
Sentiamo di dover chiedere perdono per le chiusure giustificate in nome della fede, per i conflitti sostenuti da ragioni religiose, per la mancanza di coraggio nella denuncia dei mali provocati da sistemi ideologici e di potere. Vorremmo lasciarci istruire, piuttosto, dai vissuti di tante comunità che si sono lasciate rinnovare e convertire dall’accoglienza dello straniero, che hanno ritrovato il senso vivo della loro fede facendosi accoglienti della fede dell’altro.
La teologia ha bisogno di ripartire dai vissuti, perché è lì che possiamo riconoscere l’azione rivelatrice e innovatrice dello Spirito: «ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Isaia 43,19; cf Ap 21,5).
Nei naufragi come nell’accoglienza, il Mediterraneo racconta la promessa di una fraternità possibile. Da tomba può tornare ad essere grembo, grembo di speranza. È la forza del mistero pasquale che chiede di trasformarsi in responsabilità per la storia.
Comunicato stampa della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia – CIMI - 18 giugno 2023
“STRAGE ANNUNCIATA”
Con il passare delle ore diventa sempre più drammatico il bilancio delle vittime dell’ennesimo naufragio di una imbarcazione carica di migranti che è avvenuto tra il 13 ed il 14 giugno a Pylos, nel mar Jonio nelle acque
territoriali greche.
Il timore è quello di arrivare a dover contare più di 600 morti tra uomini, donne e soprattutto bambini lasciati annegare e soccorsi in estremo ritardo. L’allarme lanciato da Alarm Phone alle autorità competenti (guardia
costiera della Grecia UHNCR Grecia e Frontex) è partito alle 16.53 del 13 Giugno e alle 2.47 del 14 giugno si registra l’ora del naufragio dell’imbarcazione. La domanda è quella di sapere che cosa è veramente successo in quelle quasi 10 ore.
Stiamo assistendo come sempre all’inguardabile e stomachevole scaricabarile. I superstiti abbandonati su brandine in una struttura del porto di Kalamata, lontano dai giornalisti. I corpi rinvenuti (sino ad ora sono 78) trasportati di notte al buio da una motovedetta della guardia costiera
greca e trasferiti al nord di Atene in camion frigoriferi per la identificazione.
I parenti delle persone che avrebbero dovuto essere sull’imbarcazione che intasano il centralino dell’ospedale di Kalamata per avere notizie dei propri cari.
È il “rituale” che si ripete ad ogni naufragio, ad ogni “strage annunciata”
Si, si tratta di vere “stragi annunciate” perché ogni “imbarcazione” che parte può essere una “strage annunciata” e non serve poi proclamare lutto nazionale per “lavarsi la coscienza”. Le domande che ci poniamo e che poniamo a che è chiamato a governare sono sempre le stesse:
le persone che erano su quell’imbarcazione o sulle altre imbarcazioni naufragate avevano altre alternative per scappare dalla violenza? Rischiare la vita oppure continuare a subire violenze nei lager libici? Voi, noi cosa
avremmo fatto se fossimo stati al loro posto?
La risposta non sta l’ultimo “patto europeo”, la risposta non si trova nelle coscienze “sporche” dei politici che lo hanno votato
Forse la risposta sta “semplicemente” nel rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali. Leggi e convenzioni che tutti i paesi hanno votato ma che vengono dimenticate quando si pensa solo alla difesa del
proprio paese o della “fortezza Europa” e quando si fa politica per difendere interessi di corporazione o personali.
Leggi e convenzioni internazionali scritte nel corso di decenni per impedire che la violenza e la cultura della morte tornassero a prevalere.
Rispettare le leggi e le convenzioni internazionali per evitare altre “stragi annunciate”.
Missionari della Consolata; Missionari Comboniani; Missionari Saveriani; Missionari della Società delle
Missioni Africane; Missionari del PIME; Missionari Verbiti; Missionari d’Africa (Padri Bianchi); Comunità
Missionaria di Villaregia; Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli; Missionarie dell'Immacolata;
Francescane Missionarie di Maria; Missionarie di Maria – Saveriane; Missionarie Comboniane; Missionarie
della Consolata
Per informazioni: segreteriacimi@gmail.com (Segreteria) antoniopiquicombo@gmail.com (GPIC)
APPELLO DEI VESCOVI E DEI TEOLOGI DEL MEDITERRANEO
«Non dimenticate l’ospitalità;
alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,1).
Il Mediterraneo grembo e promessa di una fraternità possibile
Avete inteso che fu detto che questo mare è un mare infido, ma non è così.
Avete inteso che fu detto che questo mare è un mare di morte, ma non deve essere così. Avete inteso che fu detto che questo mare è un mare di pochi, ma non può essere così. Dinanzi all’ennesima strage che si è consumata nelle acque del Mediterraneo, come teologi e teologhe provenienti da diverse sponde del Mediterraneo, non possiamo tacere. Ci sentiamo provocati a prendere posizione rispetto a questo racconto di morti, di respingimenti, di tragiche disuguaglianze. Siamo convinti che una narrazione diversa del Mediterraneo debba essere cercata.
Questo Mediterraneo, i suoi volti, le sue storie, le grida che salgono da questo mare, ci interpellano. La teologia si pone con uno sguardo di speranza, che non si allontana dalla tomba, dalle tombe che questo mare rappresenta, ma prova a interpretarle: tra memoria e profezia.
Questo significa, per noi, metterci in ascolto. In ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido di questi popoli; in ascolto del grido di questi popoli fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama, come credenti e come esseri umani. Come ci ha indicato il Concilio Vaticano II, il genere umano vive oggi un periodo nuovo della sua storia: una vera trasformazione socioculturale, profonde mutazioni, interrogativi che toccano il senso dell’umano accanto ad aspirazioni sempre più universali e che chiedono al pensiero credente di scrutare in tali vicende i segni dei tempi interpretandoli alla luce del Vangelo (cf GS).
Sentiamo l’urgenza di una teologia capace di accogliere l’istanza profetica racchiusa nel grido di dolore e nelle richieste di giustizia che giungono dai tanti naufraghi della storia: da coloro che lasciano i loro paesi impoveriti e devastati dai conflitti alimentati dagli interessi dei potenti del mondo; da quanti sono sfruttati e umiliati nella loro dignità; da quelli che fuggono dalla fame prodotta anche dai cambiamenti climatici; ma anche l’istanza racchiusa nel grido della terra e di un mare sempre più stravolti da una economia predatoria.
Sappiamo di dover partire da questo ascolto: dal pianto e dal silenzio delle storie dei sommersi e non salvati, dalle voci di chi accoglie o rifiuta in questo perdersi delle frontiere anch’esse in camino.
Vogliamo porci dinanzi a tutto questo con lo stile di una teologia umile che non dà risposte preconfezionate, ma si lascia abitare dalle provocazioni di questo mare
Ed è proprio la categoria del naufragio che può aiutarci a reinterpretare il Mediterraneo a dare vita a nuove narrazioni.
Con i tanti che vedono naufragare la loro speranza di una vita migliore, il loro diritto alla libertà, naufraghiamo anche noi e la nostra umanità. Siamo dentro un naufragio di civiltà. Tutti noi siamo i naufraghi (tutti e non solo alcuni) e questo già spezza le frontiere che vorremmo irrigidire.
Il Mediterraneo è luogo di naufragi. Ma nella speranza scampata alla disperazione dei migranti che atterrano sulle nostre coste, nei loro occhi che cercano e chiedono salvezza e futuro, proprio lì e già li possiamo scorgere i segni del Regno che anche noi cerchiamo. La speranza arriva dall'altro, quell'altro che crediamo di dover essere noi ad accogliere, e che invece forse ci sta salvando.
La profezia che sale dai tanti drammi del Mediterraneo, chiede che si ritrovi l’identità più profonda di questo mare dai confini mobili, impossibile da racchiudere in una definizione, in una prospettiva culturale, che non può essere di pochi ma è dei tanti che su di esso si affacciano, mare “nostro” in tutte le lingue dei popoli del Mediterraneo.
Spazio di interconnessioni, incrocio di rotte, il Mediterraneo testimonia la fecondità della contaminazione che è generativa delle specificità culturali. Non esiste una identità culturale pura: è questo che il Mediterraneo racconta.
L’accoglienza dell’altro è allora un atto di giustizia e di riconoscimento di ciò che siamo in questo mare nostro, mare del meticciato. L’istanza profetica è nell’ospitalità che si fa paradigma culturale e di pensiero, criterio di vita e di azione sociale. Riconoscere l’altro, le nostre differenze, le nostre contaminazioni non può essere considerata una scelta opzionale. In questo riconoscimento c’è la nostra umanità, ma anche la stessa dinamica della Rivelazione: Dio è dialogo e il dialogo è luogo di Dio.
Sentiamo di dover chiedere perdono per le chiusure giustificate in nome della fede, per i conflitti sostenuti da ragioni religiose, per la mancanza di coraggio nella denuncia dei mali provocati da sistemi ideologici e di potere. Vorremmo lasciarci istruire, piuttosto, dai vissuti di tante comunità che si sono lasciate rinnovare e convertire dall’accoglienza dello straniero, che hanno ritrovato il senso vivo della loro fede facendosi accoglienti della fede dell’altro.
La teologia ha bisogno di ripartire dai vissuti, perché è lì che possiamo riconoscere l’azione rivelatrice e innovatrice dello Spirito: «ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Isaia 43,19; cf Ap 21,5).
Nei naufragi come nell’accoglienza, il Mediterraneo racconta la promessa di una fraternità possibile. Da tomba può tornare ad essere grembo, grembo di speranza. È la forza del mistero pasquale che chiede di trasformarsi in responsabilità per la storia.
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